Postfazione di Luciano Pagano
'Due che fanno sesso virtuale, come si chiamano?'. La prima domanda che
compare in 'Panni sacri' di Roberta Pilar Jarussi, è di una semplicità
disarmante, eppure nasconde quello che sarà uno degli atteggiamenti ricorrenti
in tutta la narrazione, ovvero sia il contrasto continuo tra sacro e profano,
tra ingenuità nell'amore e esperienza del sesso, tra conoscenza dei profondi
anditi della psiche umana e ricerca ossessiva della verità corporea, quando
due, tre persone, hanno a che fare con l'innamoramento e con la totale
miscredenza delle reazioni che l'amore può indurre, d'improvviso.
La protagonista di questo racconto vive due storie contemporaneamente, più
esatto sarebbe dire che vive diverse storie, dato che la schizofrenia amorosa,
ad esempio nel rapporto con Ragazzo, si identifica con il duplice rapportarsi
all'immagine virtuale, digitale, web-voyeuristica e all'immagine fisica,
materiale, a quel verbo ricorrente con cui di denota l'incontro e l'atto
insieme, cioè il “prendersi”.
Una realtà fatta di gesti, atti, sequenze di prendere, stringere,
abbandonare. Roberta Pilar Jarussi, in questo suo trittico di storie che si
intrecciano, presenta una vera e propria fenomenologia dell'amor 'intrapreso',
per tentativi, approcci, manovre lontane che si appressano e diventano vere e
proprie sospensioni di gravità. La cosa che colpisce di più il lettore è sempre
questo correre su un crinale, da una parte la purezza della carne e dall'altra
la (presunta) falsità di uno spirito che ambisce a qualcosa di impossibile,
salvare le capre e i cavoli, avere tutto, possedere la carne e dominare il pensiero,
carpire, se c'è, l'amore cerebrale. Come se ciò non bastasse Celso, il
francescano narcolettico esperto in mercatali pesche miracolose e avances
etoromani, è brutto e con la pancia, mentre Ragazzo è bello, punto e basta. La
protagonista del racconto sembra oscillare come un pendolo tra entrambi, ed è
come se la virtualità dell'amore, a tratti, concedesse un po' di stupore in
avanzo al fatto che la forma fisica, forse, non importa granché quando c'è di
mezzo il desiderio.
Una lettura, quella di “Panni sacri”, che procede rapidamente, come
scorrendo delle polaroid, una dopo l'altra, anticipando ciò che sarà,
ripetendosi che no, la protagonista non cadrà nel tranello, per poi scoprire
che è come se questi tranelli, in fondo, fanno parte di un gioco meditato, una
partita a scacchi dove la regina è circondata, per scelta, da una manciata di
minuscoli pedoni. Fino al culmine del suo personale viaggio al termine della
notte, in un 'solito' pomeriggio, sudicio e afoso, col finestrino abbassato per
respirare, in attesa di un afflato che non è spirito, perché lo spirito oramai
se l'è squagliata… chissà che fine ha fatto, da questo quadro così perfetto, lo
spirito.
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